sound design Stefano Murgia
lighting design Paolo Pollo Rodighiero
costumi PianoB
FABRICA è uno scavo negli archivi mnemonico-corporei di lavoratori e lavoratrici di diverse generazioni incontrati durante le varie residenze artistiche. FABRICA è uno scavo negli archivi storici di fabbriche e aziende (là dove è possibile), un’indagine che abbraccia la storia, che interroga lo spazio, perché lo spazio modifica i corpi che lo abitano e quello spazio determina il disegno coreografico. FABRICA si avvicina ai corpi che hanno vissuto, subìto quello spazio, corpi che portano in sé archivi di movimenti obbligati, una partitura di gesti dettata dal lavoro. La trasformazione fisica degli esseri umani, e la trasformazione dei luoghi e degli spazi raccontano una trasformazione della società e lo fanno andando a toccare radici profonde, archivi che si sommano e si compenetrano. Lungi dal riprodurre i gesti del lavoro in una sorta di coreografia di chapliniana memoria, FABRICA non prevede compassione. C’è assunzione per mezzo di destrutturazione. Cosa significa allora trasformare un gesto produttivo in un gesto che non produce materia, un gesto che trasforma e crea materia, in un gesto che crea qualcosa di immateriale?
FABRICA è un lungo viaggio tra i luoghi e i corpi del lavoro, un viaggio atto a creare una mappa affettiva di quei corpi e di quei luoghi.
FABRICA 57770 [ Bataville ], prima tappa di un lungo viaggio tra i luoghi e i corpi del lavoro, è uno scavo negli archivi storici della fabbrica di scarpe Bata e negli archivi mnemonico-corporei di ex lavoratori e lavoratrici incontrati durante una residenza alla FAA di Bataville-Moussey. Il lavoro nella fabbrica, la catena di montaggio, i turni sfiancanti, così come il rapporto paternalistico instaurato tra padrone e lavoratrici e lavoratori, sono stati i punti cardine di questo primo affondo nel mondo del lavoro.
FABRICA 36100 [ Vicenza ] nasce dall’incontro con corpi e spazi del presente e del passato industriale vicentino, da interviste, esplorazioni di siti abbandonati e fabbriche in piena attività. Il lavoro di ieri nell’industria tessile, il lavoro di oggi nei capannoni della logistica che riformula quotidianamente i risultati attesi a seconda della domanda.
Che la scena diventi allora la scena di un delitto, quello delle vite sacrificate al lavoro. Che il discorso dominante con tutte le sue brutture si impadronisca dello spazio sonoro della scena.
FABRICA 16100 [ Genova ], terza tappa del progetto ELP | corpi del lavoro, affonda lo sguardo nella storia operaia di Luciana che per dieci anni ha lavorato alla catena di montaggio al Tubettificio Ligure - fabbrica atta alla produzione di alluminio primario e secondario di Stato, chiusa da anni. La sua storia personale si intreccia con le storie delle altre operaie. Luciana parla, racconta, e le sue parole entrano nel corpo, entrano nello spazio frantumandolo in settori: ogni settore uno stato del corpo, isole in cui il corpo diventa altro, in cui è altro da prima. Una drammaturgia del corpo frammentata, interrotta e connessa da spostamenti nello spazio, un passaggio da una memoria all’altra. Una narrazione muscolare, tendinea, scheletrica, una continua oscillazione tra micro e macro, tra dettaglio e visione di insieme.
FABRICA 16100 [ Genova ] ha il sapore di una biografia, di un percorso individuale, di una scena in presa diretta, di un qui e ora che non è più storia.
Giugno/luglio 2023 Roma
Il corpo operaio incatenato. Il corpo operaio martoriato, recluso, misurato. Il corpo operaio schiacciato dal rullo compressore della produttività, di un tempo che è denaro. Isolato, infantilizzato, mutilato. Il corpo come destino, come fardello da cui liberarsi.
I corpi operai in rivolta, in sollevazione. In nome del rifiuto, del sabotaggio, per l’autonomia. Il contropotere di quei corpi tradito, negato, cancellato dalla Storia.
Un corpus di immagini che reclama un movimento concreto, un montaggio muscolare che ne liberi l’essenza trasformatrice contro un esistente che sul disciplinamento di quei corpi ha posto le basi di una gerarchia ormai penetrata sotto pelle.
Un corpo nella scena infine che incarna i frammenti, le tensioni, gli attriti di quei corpi per riscattarli, attraverso un montaggio vivo, dalla paralisi del tempo e della sconfitta.
Un ambiente in cui sostare, guardare, leggere, parlare, ascoltare. Un luogo in cui poter incontrare materiali e frammenti del progetto FABRICA.
Quello legato a FABRICA è un archivio dinamico, performativo, un archivio composto da un insieme di pratiche, difficile da imbrigliare in schemi, in griglie atte alla catalogazione, una raccolta di materiali ibridi con segni molto differenti. È un archivio anacronico, le epoche si mescolano con salti temporali, si tratta di geografia più che di storia. È un archivio anarchico per sua natura, un anarchivio. Un luogo in cui creare la propria strada, il proprio ordine, un luogo solo apparentemente caotico, un luogo degerarchizzato. Se la parola archivio vede la sua nascita grazie alla parola greca archè (antichità, principio, primato ma anche autorità, governo), il processo di trasmissione della danza legato al progetto ELP ne ribalta il senso proprio per la sua natura de-gerarchizzante, per l’apertura a una libera circolazione dei materiali, alla loro condivisione senza legami con l’originale, con il principio.
L’archivio FABRICA non comprende solo immagini ma anche testimonianze reali, parole e corpi, persone in carne e ossa con le quali di volta in volta interagiamo. Il contatto diretto con le persone porta con sé un aspetto non indifferente nella messa in corpo di quelle parole: l’empatia. Il mio corpo si fa mappa sentimentale di quei corpi, di quei racconti. Ma i sentimenti, le emozioni sono catalogabili? Sono archiviabili? Può il mio corpo diventare archivio di emozioni? O non restano forse sospese tra il pensiero e l’azione? Quale processo di incarnazione mettono in atto? La coreografia può creare emozioni. Ma un’emozione può creare una coreografia? Forse, ma non nel mio caso, non ne conosco la strada. La coreografia, la forma del corpo, il suo stato, il suo spessore, la sua forza sono elementi concreti. Sono stati reali del corpo. L’emozione batte nel corpo con forme che muovono in direzioni conformi. E il conforme fa a pugni con l’informe. Che azione compie allora l’emozione? Sconquassa, distrugge l’ordine, sfalda le certezze per aprirsi a un archivio anarchiviabile.
L’emozione avvolge, l’immagine penetra.
L’emozione sparpaglia, l’immagine fissa.
Se il capitale disciplina il corpo con il lavoro secondo una logica di asservimento al capitale stesso, come reagiscono i corpi quando esso, pur non generando lavoro, chiede di aderire completamente al suo progetto, spingendoci a sostenere il suo pensiero predatorio? Come agiscono nella costrizione di un inseguimento continuo dell’ultima tendenza? Quanti selfie dovremo ancora scattare? Quante frasi retoriche dovremo ancora pubblicare sui social? Su quante panchine dovremo ancora sederci prima di comprendere che siamo il mezzo per il lavaggio di finte coscienze?
FABRICA 20100 [ Milano ] è un racconto distopico, un inseguimento da brand, un luogo prossimo alla desertificazione - piccole piante si insinuano nelle fessure dell’asfalto e del cemento - un luogo in cui si muore per strada senza che nessuno intervenga, un luogo dove il lavoro è un’idea, dove il verde è un’idea, un luogo dove non è contemplato il dissenso.
sound design Stefano Murgia
lighting design Paolo Pollo Rodighiero
artistic collaboration Roberta Nicolai
costumes PianoB
a project supported by Teatri di Vetro (Roma, IT), Fabrique Autonome des Acteurs (Bataville-Moussey, FR), Caracol Olol Jackson (Vicenza, IT), Teatro Akropolis (Genova, IT), Teatro Galli (Rimini, IT), Città di Ebla/Festival Ipercorpo (Forlì, IT), Teatro delle Moire/Danae Festival (Milano, IT), AAMOD - Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico (Roma, IT), KOMM TANZ/PASSO NORD residencies project by Compagnia Abbondanza/Bertoni (Rovereto, IT), IntercettAzioni - Centro di Residenza Artistica della Lombardia (Milano, IT)
production PinDoc
with the contribution of MiC and Regione Sicilia
The work is deservedly hateful
Giuseppe Rensi
FABRICA is an excavation in the mnemonic-body archives of workers of different generations met during various artistic residencies. FABRICA is an excavation in the historical archives of factories and companies, an investigation that embraces history and interrogates space, because space determines the bodies that inhabit it and that space determines the choreographic design. FABRICA approaches the bodies that have lived, suffered that space, bodies that carry within them archives of obligatory movements, a score of gestures dictated by work. The physical and physiognomic transformation of human beings, and the transformation of places and spaces tell of a transformation of society, and they do so by touching deep roots, archives that add up and interpenetrate. Far from reproducing the gestures of work in a kind of Chaplinian choreography, FABRICA does not involve compassion. There is assumption by means of deconstruction. So, what does it mean to transform a productive gesture into a gesture that does not produce matter, a gesture that transforms and creates matter, into a gesture that creates something immaterial?
FABRICA is a series of choreographic actions created during as many artistic residencies. Each residency involves encounters with workers as well as an analysis of the spaces occupied by the work. The materials collected are used to create a specific performance for each place whose title leads back to the place where it is created, placing FABRICA alongside the postcode and the name of the place itself.
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