TRACCE FABRICA

 


23 maggio – 3 giugno 2022
residenza creativa
FAA (Fabrique Autonome des Acteurs)
Bataville-Moussey (FR)


Bataville-Moussey, cittadina sperduta nel mezzo del Grand Est francese, costruita nel 1931 da Tomáš Bat’a, fondatore della fabbrica di scarpe Bata, che a fianco degli stabilimenti ha costruito le case per chi vi lavorava, seguendo una logica legata alla gerarchia di potere all’interno della fabbrica (operai e operaie da una parte, dirigenti – qui il maschile è d’obbligo – dall’altra), negozi, scuole, campi sportivi. 

le patron donnait l'argent, le patron récupérait l'argent

intervista a Martin
la chaîne
la ligne

Centre des Archives Industrielles et techniques de la Moselle 


Bataville il giornalino di Bata

i nomi delle macchine
Ralph - Solpak - Unipak - Mohrbach - Anver - Type 906 - United / Sécaro - Albeko - Astra 401 Z - Sutteau - Krause - Rotopresse - Bima B 135 - Anzani - Veripak - Deripak - Dorey - Sagitta

intervista a Gerard - da ragazzino lavorava da Bata durante l'estate - temperature altissime / non si potevano aprire le finestre

Société Anonyme - Organisation Mondiale Bata

lavoriamo nella salle de bal 
lo spazio misura all’incirca 18m x 9m con 6 colonne e una vetrata sul fondo - dietro c'è il bar


riprendiamo in video le prime improvvisazioni
alla FAA la connessione internet è ottima: ogni sera invio il video del lavoro a Roberta Nicolai. la mattina dopo riunione telefonica. procediamo così per tutto il periodo di residenza

Roberta: organizzazione e irrazionalità devono convivere | resistenza alla razionalità | sbilanciare lo spazio | variazioni

            corpo diviso in due
            due dinamiche diverse
            separazione sopra/sotto
            testa bassa

ritmo
il corpo si modifica
sostanze tossiche che alterano l’umore
macchine/corpo
cronometro
tempi di lavoro
vuoto da lavoro
mobilità
controllo
rumore
calore

"lavoriamo in quella che fu la salle de bal dello stabilimento bata. lavorare sul suono è lavorare sullo spazio, sul suo attraversamento dello spazio. le fonti sonore saranno dislocate in vari luoghi, gli altoparlanti non si vedranno. i suoni altro non saranno che un pretesto per far vibrare le superfici - un armadio di ferro che sfrigola alle spalle del pubblico, una scatola di latta nascosta dietro a una colonna - raggiungeranno lo statuto di suggerimenti e poco più, impercettibili nella loro completezza, incomprensibili in quanto suoni, presto integrati alla scena e dimenticati da chi inconsciamente ascolta. monotoni o in continuo mutamento, come se non ci fossero. Insieme costruiscono una mole senza centro e senza senso. accadono lì per lì in balia dei rimbombi e degli assorbimenti. perché non può esserci commento né riproduzione della memoria del suono che ha accompagnato anni di lavoro alla catena di montaggio, solo un frastuono il cui volume è soggettivo e relativo e regolato da ogni corpo che guarda, ascolta, vive e rivive sulla propria pelle."
stefano murgia



[ … ] il lavoro come condanna e perdizione, il lavoro come cellula primordiale dell’organismo umano, il lavoro che marchia anima e corpo di un’intera vita [ … ] 
Vitaliano Trevisan | Works

[ … ] il lavoro non è per gli uomini, è per i ciucciarelli. Anche una fatica, magari, può dar gusto qualche volta, purché non sia un lavoro. Una fatica oziosa può riuscire utile e simpatica, ma il lavoro, invece, è una cosa inutile, e mortifica la fantasia. [ … ] vivere senza nessun mestiere è la miglior cosa: magari accontentarsi di mangiare pane solo, purché non sia guadagnato. [ … ] 
Elsa Morante | L’isola di Arturo

la FIAT era soprattutto una grande famiglia
istituzione totale
gerarchia
disciplina
mi avrebbero voluto servizievole come un burattino
paura
rumore | inferno | calore | buio
ritmi pesantissimi
spazio come un labirinto
linea | giostra
avevamo tracciato una linea per terra per calcolare i tempi
Gabriele Polo | I tamburi di Mirafiori

[ … ] 
la fabbrica mi ha fottuto
ne parlo solo dicendo
la mia fabbrica
[ … ] 
i nostri corpi atlanti di disturbi muscolo-scheletrici
[ … ] 
i miei incubi sono soltanto all’altezza
di ciò che il mio corpo sopporta
[ … ] 
mi è stato dato
un quaderno
di un formato piccolo che sta nella tasca del camice che mettiamo al lavoro
“controllo integrazione di un nuovo arrivato”
si chiama così
[ … ] 
la luce dei neon
i gesti automatici
[ … ] 
tirare trascinare smistare portare sollevare pesare ordinare
[ … ] 
la fabbrica
quando ne esci
non sai se ritrovi il mondo vero o se lo lasci
[ … ] 
il tempo perduto
caro Marcel ho trovato quello di cui andavi alla ricerca
vieni in fabbrica te lo mostro subito
il tempo perduto
non avrai più bisogno di farla tanto lunga
[ … ] 
Joseph Ponthus | Alla linea


Bataville | l'usine










intervista a Marie-Laure

intervista a Cècile e Louis (92 e 93 anni - moglie e marito)
Cècile ha lavorato da Bata dal 1948 al 1992
dormitori
dolore alle gambe
tunnel carpale

stefano guarda alcune interviste video a ex operaie e operai - io non le guardo - stefano mi descrive i movimenti e io li assumo per come li capisco (un corto circuito del processo di creazione del progetto ELP) 
stato del corpo come sotto dettatura
 
incubi | si lavora anche nel sonno

il lavoro ripetitivo entra nel copro, nelle ossa 

alla FAA arrivano i Bata Boys (la banda di Bataville) 
Stefano registra le loro prove

ossa e incubi con la musica dei Bata Boys - possibile finale

la destrutturazione del movimento passa attraverso il tempo, lo spazio, la tensione del corpo

la drammaturgia del corpo:
        in catena
        il corpo si ribella
        soffocamento | asfissia
        dettatura
        mano
        ossa
        sogno/incubo

lo spazio | l'azione


FABRICA 57770 [ Bataville ]
10 settembre 2022 
la performance
Festival Des Antipodes | Bataville-Moussey (FR)





foto Marion Pedenon




20 - 24 settembre 2022
residenza creativa 
Caracol Olol Jackson | Vicenza

il Caracol è uno spazio di accoglienza e condivisione, luogo prezioso in questi tempi di chiusura verso l’esterno. qui le persone vengono prima di ogni altra cosa!

interviste a Imran, Teo, Oprea, Massimiliano
pickeristi
voice
un auricolare con microfono: voce automatica che impartisce ordini. riconoscimento vocale
Imran descrive lo spazio in cui lavora: un enorme capannone suddiviso da colonne. nel farlo elenca l’alfabeto al contrario

visitiamo clandestinamente lo stabilimento abbandonato 
Lanerossi di Vicenza












visitiamo la fabbrica Amer di Valdagno
gli uffici della dirigenza dominano la fabbrica - una grande vetrata
sotto operaie e operai al lavoro come in un acquario - silenzio
scendiamo - camminiamo in mezzo alle operaie e agli operai - rumore
dall’alto sembrava tutta un’altra cosa
gesti ripetitivi 
vietato fotografare

intervista a Gianna
industria tessile
fischio
rumore delle ventole
filati sopra la testa da controllare

visitiamo lo stabilimento abbandonato Lanerossi di Schio





intervista a Elio - ex operaio tessile alla Lanerossi di Schio

nello spazio del Caracol ci sono le colonne
decidiamo di disporre il pubblico in due lati dello spazio, a fronteggiarsi | io lavoro in mezzo

"il lavoro di oggi, gli spazi del lavoro che non c’è più. gli spazi di ieri abbandonati, il lavoro taciuto di oggi. la fabbrica fordista parcellizza il lavoro per tendere a una pre-calcolabilità sempre più esatta dei risultati a cui tende (Lukács). la logistica riformula quotidianamente i risultati attesi a seconda della domanda. il pickerista deve rispettare la media (un tot di colli al giorno), pena l’eliminazione. la voce del pickerista come impronta digitale, scansionata da una macchina che non ammette disobbedienza. l’unica parola ammessa è “sì” perché il lavoro possa proseguire.

la quarantena su scala nazionale, la necessità di beni primari. la domanda cresce, il profitto cresce, il discorso si arricchisce di nuove retoriche per giustificarlo e prolungarlo. l’eroismo di chi “giorno e notte rifornisce gli scaffali dei supermercati”. il riscoperto patriottismo di un paese la cui repubblica democratica è fondata sul lavoro dove il lavoro se c’è è pesante e mal pagato. il corpo di paola si muove dentro uno stretto recinto delimitato da quattro colonne. lo osservo e risento le parole che ho raccolto e montato in presa diretta il 1° maggio 2020 creando una sorta di blob radiofonico. il discorso pubblico come recinto dentro cui ogni corpo è costretto a muoversi. un ring verboso che massacra i corpi e le intelligenze di chi è costretto a campare, sotto i colpi violenti di una difesa incondizionata del lavoro perpetrata dal piccolo imprenditore, dal segretario della cgil, dal papa. 

che la scena diventi la scena di un delitto, quello delle vite sacrificate al lavoro. che il discorso dominante con tutte le sue brutture si impadronisca dello spazio sonoro della scena. finché lo spettatore assuefatto non ci faccia più caso. finché il frastuono di tre radiosveglie posizionate dentro lo spazio scenico non lo sovrastino. finché un rumore bianco impedisca ogni possibilità di intelligere. a quel punto nel silenzio della sala emergerà come un battito cardiaco il suono metallico degli impulsi che dettano l’ordine al magazziniere. con un nostro semplice click."
stefano

più automazione = più disoccupazione
penuria di tempo
Mark Fisher | Desiderio postcapitalista: le ultime lezioni


FABRICA 36100 [ Vicenza ]
22 ottobre 2022
la performance
Caracol Olol Jackson | Vicenza







foto Veronica Dalla Valle De Toni


FABRICA 36100 [ Vicenza ]
FABRICA 57770 [ Bataville ]
residenza creativa
24 ottobre - 4 novembre 2023
Komm Tanz | compagnia Abbondanza/Bertoni | Rovereto

a dicembre saremo al festival Teatri di Vetro con FABRICA 36100 [ Vicenza ] e FABRICA 57770 [ Bataville ]. il festival si svolge al Teatro India

come trasformare per il teatro i due lavori site specific, nati in spazi con colonne?
come ricreare le colonne nello spazio coreografico?
cosa succede allo spazio?
cosa succede al suono?
e la luce?
    rimoduliamo
non è facile, specialmente per quanto riguarda FABRICA 57770 [ Bataville ] | le luci vanno create | i suoni non possono più essere gli stessi | la coreografia deve tenere conto di elementi ora inesistenti (colonne e spazio ridotto rispetto ai 18 metri x 9 della salle de bal di Bataville ). la sala B di India è quasi un quadrato (11,28 x 14,40 metri). 
lo spazio coreografico va ripensato completamente / la coreografia deve tenere conto delle colonne pur nella loro assenza. con Pollo Rodighiero (lighting designer) immaginiamo un dentro e un fuori / lo spazio interno e lo spazio esterno alle colonne.
lo spazio della scena si apre e si chiude - il corpo entra ed esce dalla luce modificando il suo stato nel confine tra luce e buio.
        il mattatoio diventa verde marcio
l'allora lunga uscita di scena acquista tempo e spazio con le luci - il buio lentamente divora il corpo.

"uno spazio asciutto, nero, predisposto alla “scena”, allo spettacolo, alla visione e all’ascolto privilegiato. un teatro come tanti. portare qui Bata e la sua catena. tutto è da rifare. ripartire dai discorsi, dalle parole seducenti e opprimenti della grande fabbrica famiglia, del premuroso padre padrone, della distopia reale. “Ne parlez pas, vous ne saurez reflechir aussi vite”. il pubblico è immerso nel silenzio. il suono è dentro la scena, lontano dalle gradinate, rivolto verso chi la scena la occupa. non può esserci ascolto frontale, sarebbe pornografico, scandalistico. è tutto lì, di fronte a noi, ma lontano da noi, non ci tocca a meno che non ci si voglia sporcare le mani. entrare nello stato paranoico di un corpo martoriato a suon di ordini, parole, speranze, fatiche, incubi. la didascalia dei discorsi si interseca con una partitura mnemonica dove l’unica fuga dall’oggettività della propria condizione è illusoria anch’essa perché possibile solo attraverso il sogno, l’incubo che protrae la fatica anche nelle ore del riposo e la innalza a vita perenne. da qui arriva il suono stridente e melenso della banda di ex-operai che gonfi e fieri suonano il loro canto funebre."
stefano

più semplice l'adattamento teatrale di FABRICA 36100 [ Vicenza ]
le luci sono le stesse: 6 neon appesi
i suoni e le fonti da cui provengono sono gli stessi
alla coreografia mancano le colonne - sono nell'uso dello spazio, sempre presenti nell'orientamento spaziale


DISPOSITIVO FABRICA
16 dicembre 2022
Teatri di Vetro Festival | Teatro India | Roma

DISPOSITIVO FABRICA è un discorso visivo e narrativo creato per TDV Festival e generato dalle indagini svolte a Bataville e a Vicenza.

riprese video Stefano Murgia e Paola Bianchi
editing Stefano Murgia
parole Paola Bianchi, Stefano Murgia, Roberta Nicolai






FABRICA 36100 [ Vicenza ]
16 dicembre 2022
Teatri di Vetro Festival | Teatro India | Roma





foto Margherita Masè


FABRICA 57770 [ Bataville ]
17 dicembre 2022
Teatri di Vetro Festival | Teatro India | Roma





foto Margherita Masè





residenza creativa
6 - 11 febbraio 2023
Teatro Akropolis | Genova


visita all'Archivio Ansaldo




visita all’Ansaldo Energia | vietato fotografare

interviste a Carlo, Pietro, Eugenio | ex operai Ansaldo

intervista a Elisabetta | ex operaia Ansaldo
Elisabetta e sua sorella sono le prime donne a essere assunte all’Ansaldo alla fine degli anni 70. la fabbrica non era pronta ad accogliere le donne ed è costretta a destinare uno dei bagni degli operai a loro due.
Elisabetta era addetta al tornio e passerà poi al collaudo.

intervista a Leila la cui madre ha lavorato al Tubettificio Ligure durante la seconda guerra mondiale quando le donne presero il posto degli uomini nelle fabbriche.
la madre di Leila perse un dito lavorando in fabbrica
durante il lavoro non si poteva parlare. la madre di Leila subì una sorta di processo perché accusata di aver parlato con un’altra operaia. la madre di Leila lavorava guardando un muro, si difese così dall’accusa ed evitò il licenziamento da parte dei fascisti che dirigevano la fabbrica

 
intervista a Luciana | ex operaia Tubettificio Ligure negli anni ‘70
la sua storia ci affascina:
fabbrica di donne / pochi uomini in un altro reparto
le donne molto controllate, gli uomini no
poca solidarietà tra operai e operaie - la solidarietà è stata imposta con le lotte
la solidarietà tra donne passava attraverso le esigenze del corpo
numerosi aborti causati dalle presse che facevano tremare il pavimento
test di idoneità al lavoro - una sorta di interrogatorio sulla vita privata (marito, figli), sulle idee politiche
dita sanguinanti per avvitare a mano i tappi dei tubetti
lavoravano in piedi o sedute su uno sgabello troppo alto per poter appoggiare i piedi a terra / torsione del busto
spazio grande / spaesamento
gambe e piedi gonfi
male alla schiena e alle spalle


[ … ] 
quel luogo tetro dove non si sa fare altro che ubbidire, spezzare sotto la costruzione tutto quel che c’è di umano in noi, piegarsi, lasciarsi abbassare al di sotto delle macchine.
[ … ] 
quel che meno mi aspettavo da me stessa: la docilità. una docilità di rassegnata bestia da soma.
[ … ] 
Mettendosi dinnanzi alla macchina, bisogna uccidere la propria anima per 8 ore al giorno, i propri pensieri, i sentimenti, tutto.
[ … ] 
Per quanto riguarda i propri impulsi di nervi e di malumore, bisogna tenerseli; non possono tradursi né in parole né in gesti, perché i gesti sono, in ogni momento, determinati dal lavoro. Questa situazione fa sì che il pensiero si accartocci, si ritragga, come la carne si contrae dinnanzi a un bisturi. Non si può essere “coscienti”. 
Tutto questo, beninteso, riguarda il lavoro non qualificato (soprattutto quello delle donne).
[ … ] 
lo sforzo del pedale è una pessima cosa per le donne; un’operaia mi ha detto di aver avuto una salpingite e di non aver potuto ottenere d’essere messa altrove. Ora finalmente non è più alle macchine; ma la sua salute è definitivamente rovinata.
[ … ] 
rapporto tra lavoro e atletismo
[ … ]

schiena rotta, che mi fa pensare al lavoro di raccolta delle patate - braccio destro sempre teso - pedale un po’ duro.
[ … ] 
il pedale è durissimo (fa male la ventre)
[ … ] 
le punte delle dita mi sanguinano
[ … ] 
Mi ritrovo schiava di fronte alla mia macchina
[ … ] 
mi ripeto continuamente la lista delle operazioni (filo di ferro - foro grande - sbavatura - direzione - filo di ferro) non tanto per preservarmi da una sbadataggine quanto per impedirmi di pensare: condizione della velocità. Sento profondamente l’umiliazione di questo vuoto imposto al pensiero.
[ … ] 
Non si può pensare ad altro, non si pensa a nulla.
[ … ] 
“Ci trattano come fossimo macchine… c’è dell’altra gente che è incaricata di pensare per noi…”
[ … ] 
separazione dei sessi, disprezzo degli uomini per le donne, riservatezza delle donne verso gli uomini
[ … ] 
La schiavitù mi ha fatto perdere completamente il senso di avere dei diritti.
[ … ] 
I giorni mi paiono un’eternità.
[ … ] 
La condizione operaia muta continuamente; spesso è diversa da un anno all’altro.
[ … ] 
Simone Weil | La condizione operaia


[ … ] 
il lavoro è meritatamente odioso 
[ … ] 
lavoro e schiavitù sono la stessa cosa
[ … ] 
il lavoro è contrario all’essenza spirituale dell’uomo
[ … ] 
non è il caso di parlare d’un “diritto al lavoro", ma, se mai, d’un diritto al non lavoro.
[ … ] 
Giuseppe Renzi | Contro il lavoro


        ARCHIVIO O DEPOSITO?*
"La parola archivio porta con sé un senso di autorità, di antichità, di ripostiglio, di luogo chiuso e organizzato – un grande armadio. Cosa significa allora cambiare la parola autorità in autorialità, antichità in contemporaneità, ripostiglio in spazio aperto e disorganizzato per dare nuova vita a questa parola? Qual è la logica di archiviazione del corpo?
[ … ] 
Il progetto di ricerca coreografica ELP ruota intorno a una serie di archivi. Archivi di immagini depositate nella memoria visiva, fissate nella retina di alcune persone da me contattate; archivi di posture del mio corpo nate dall’incarnazione di quelle immagini (il mio corpo come archivio); archivi di descrizione di quelle posture in forma di file audio; archivi di corpi che hanno incarnato le descrizioni. 
[ … ] 
I materiali che stiamo raccogliendo nel progetto FABRICA sono ibridi, non più solo immagini ma anche testimonianze reali, parole e corpi, persone in carne e ossa con cui io e Stefano Murgia, che con me porta avanti questa ricerca e che crea i suoni delle varie performance, abbiamo interagito. Dall’esperienza ancora ridotta, abbiamo al momento individuato una serie di archivi (posso ancora chiamarli così?): immagini provenienti dagli archivi storici delle aziende che immortalano lavoratrici e lavoratori all’interno delle fabbriche – immagini generalmente poco veritiere, propagandistiche (operai e operaie in posa, sorridenti e vestiti di tutto punto); immagini video e fotografiche catturate da noi durante le visite in fabbriche abbandonate; immagini fissate nei nostri occhi durante le visite in fabbriche tuttora attive (le foto sono vietate per problemi legati allo spionaggio aziendale); suoni registrati, a volte di nascosto, nella fabbriche attive; parole delle persone intervistate, la descrizione dei movimenti, delle condizioni di lavoro, degli orari di lavoro, della fatica, dei dolori in alcune parti del corpo; movimenti mimati dalle persone intervistate nell’atto di compiere quei gesti ripetuti per anni; sogni, o meglio, incubi ricorrenti legati al lavoro. Una varietà di contenuti che determina differenti modalità in cui il mio corpo riceve, immagazzina, accoglie tali informazioni.
[ … ] 
Nel caso di elementi, informazioni che arrivano direttamente da interviste, dal contatto diretto con le persone, entra in campo un aspetto non indifferente nella messa in corpo di quelle parole o immagini: l’empatia. Il mio corpo si fa mappa sentimentale di quei corpi, di quei racconti. Come posso non considerare il tono della voce, la sofferenza dei racconti, la fatica del corpo, le mani deformate dal lavoro, i dolori indotti dalla ripetizione di uno stesso gesto per 8 ore al giorno, per 5 e anche 6 giorni alla settimana, per 10, 20, 40 anni? 
Ecco perché FABRICA è un viaggio atto a creare una mappa emotiva di corpi e luoghi. Quando entra in campo l’emotività, il sentimento di vicinanza, l’immedesimazione nella fatica, il corpo reagisce in profondità. Si attiva un livello più interno di connessione tra la fonte e il corpo in azione. Impossibile allora non sentire nel corpo il corpo che ha raccontato quelle parole, la sua dimensione, la sua consistenza. Forse potrei parlare di tridimensionalità della testimonianza, di circolarità. Non devo più dare vita alla staticità delle immagini ma accogliere la consistenza dei corpi, passando anche attraverso la traduzione delle parole in corpo.
Sono ancora legata alla parola archivio e li ho chiamati archivi mnemonico-incarnati perché la memoria si deposita nella carne, la segna, la deforma. E allora accogliere quella memoria pur avendone una propria è il compito più difficile. Fino a che punto il mio segno coreografico lascia spazio ai modi di altri corpi? Come fare i conti con l’alterità, con le tante soggettività? Sono domande che si impongono in questa mia fase di ricerca, nella serie dei vari FABRICA che si stanno man mano generando. Domande a cui non so dare una risposta.
Ho come la sensazione che la parola archivio si addica a chi cede la propria testimonianza, a chi racconta del proprio corpo, a chi si espone nelle parole del proprio vissuto. La raccolta delle testimonianze è ancora archivio. Ma io che incarno e trasformo quelle parole, quei corpi, posso ancora dire che divento archivio di tutto ciò? Non sono forse contenitore, deposito, corpo depositario di archivi?"

*il testo è tratto da uno scritto di Paola Bianchi presente nella fanzine OSCILLAZIONI #2 Mettere mano agli archivi - a cura di Roberta Nicolai | Triangolo Scaleno Teatro / Teatri di Vetro



FABRICA 16100 [ Genova ]
residenza creativa
17 - 25 marzo 2023
Teatro Akropolis | Genova

chiediamo a Luciana un altro incontro - vogliamo approfondire la sua storia di operaia al Tubettificio Ligure
da subito ci rendiamo conto che FABRICA 16100 [ Genova ] si sviluppa per quadri connessi da spostamenti nello spazio.
micro - macro
il corpo - lo spazio
usiamo tutto lo spazio del teatro
ogni luogo/spazio accoglie uno stato del corpo
una drammaturgia del corpo frammentata, interrotta e connessa da spostamenti nello spazio
isole in cui il corpo assume stati, in cui diventa altro, in cui è altro da prima

"la premessa è invariata: produrre suoni che non siano un commento alla scena. perché se suono deve esserci che sia parte della scena tanto quanto i movimenti e le luci che la occupano. siamo di nuovo in fabbrica e le memorie sonore delle testimonianze si assomigliano nonostante cambino le latitudini. il capitalismo ha organizzato gli spazi e i tempi del lavoro con estrema coerenza, come un blocco unico indissolubile. l’esistenza sociale degli uomini determina i loro pensieri (Marx) / l’organizzazione sociale del lavoro determina il suo spettro sonoro. ripetizione, stridore, tonfi, vibrazioni, colpi, rimbombi. 

qui si lavora sul corpo, fino ad ora il mio è rimasto fuori campo. è tempo di usarlo. emetto i suoni del lavoro che si sono depositati dentro il mio corpo dopo essermi stati trasferiti sotto forma di racconto verbale. mi chiudo nel bagno del camerino e li faccio uscire dal mio corpo. li registro con un tascam dr-05x che ne conserva quello che può. immediatamente riverso sul computer le registrazioni e manovro l’equalizzatore per recuperare quello che si è perso. come parametro pongo i riverberi dell’ancora recente dolore fisico provocato dal canto. non c’è spazio per l’estetica. ne esce qualcosa di nuovo che non è la mia voce. non è il rumore di una fabbrica; è il suono di un’approssimazione che cresce progressivamente nel passaggio da una memoria a un’altra."
stefano


il 21 marzo arrivata Roberta Nicolai. facciamo una prova per lei.
Roberta dice: FABRICA 57770 [ Bataville ] e FABRICA 36100 [ Vicenza ] sono due lavori sugli effetti del lavoro sul corpo. FABRICA 16100 [ Genova ] è in presa diretta - cosa succede al corpo nell’istante, nell’essere corpo al lavoro, nel mondo del lavoro.

FABRICA 16100 [ Genova ] ha il sapore di una biografia, di un percorso individuale.


FABRICA 16100 [ Genova ]
prova aperta
24 marzo 2023
Teatro Akropolis | Genova




foto Stefano Murgia


foto Luca Donatiello

































































































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Paola Bianchi appartiene a una generazione di autori della danza contemporanea che sta fra i cosiddetti “pionieri” degli anni Ottanta e gl...