La memoria procede a ritroso e penetra nel passato attraverso il velo dell’oblio: si incammina su tracce sepolte e disperse, e ricostruisce testimonianze significative per il presente.
Ricordare e dimenticare. Memoria e oblio. Pieni e vuoti. Parole e rumore di fondo. Ascolto la voce di donne e uomini deportati nei campi di sterminio nazisti, oppositori politici al regime fascista che hanno rischiato di morire a vent’anni. Ascolto il rumore di fondo di audiocassette registrate nel secolo scorso, il fruscio, i vuoti, i buchi. Di tanto in tanto le voci si fanno lontane, non riesco a capire cosa dicono. Mi sembra che siano quelli i momenti più importanti delle interviste, i momenti in cui la crudezza del racconto si fa più difficile da ascoltare, quasi impossibile da dire, come se una forma di pudore spingesse la persona intervistata ad abbassare la voce. Un dire senza farsi udire, un dire intimamente sussurrato.
I vuoti, i buchi diventano allora il filo conduttore della ricerca. Mi infilo in quei buchi cercando il fondo, rinunciando a capire per provare a comprendere lo stato di quei corpi. Prendo quei buchi e li porto dentro, ne faccio un luogo di ristagno del corpo. Spingo le unghie nelle fessure, aspetto che la terra si infili sotto le unghie, ma è solo cenere. Non capirò fino in fondo, lo so. Resto nella nebbia di un tentativo. Mi appoggio al corpo, alla danza, al solo – un solo di danza il cui titolo indicibile fa rabbrividire.
[…] è un non detto, un pezzo mancante, un vuoto – graficamente un luogo chiuso, una prigione – KZ è contrazione di Konzentrationslager. […] KZ è parte del progetto ELP | CORPI RECLUSI.
Remembering and forgetting. Memory and oblivion. Fullness and emptiness. Words and background noise. I listen to the voices of Italian women and men deported to Nazi death camps, political opposers to the fascist regime who risked death in their twenties. I listen to the background noise of audiocassettes recorded in the last century, the rustling, the gaps, the holes. From time to time the voices become distant, I cannot understand what they are saying. It seems to me that those are the most important moments in the interviews, the moments when the rawness of the story becomes more difficult to hear, almost impossible to say, as if a form of modesty urges the person being interviewed to lower their voice. A saying without being heard, an intimately whispered saying.
The voids, the holes then become the thread of the research. I slip into those holes looking for the bottom, giving up understanding to try to understand the state of those bodies. I take those holes and bring them in, I make them a place of stagnation of the body, I push them down to the bones. Hunger and thirst squeeze the guts. I push my nails into the crevices, I wait for the earth to slip under my nails, but it is only ashes. I will not understand completely, I know. I remain in the fog of an attempt. I lean on the body, on dance, on the solo - a dance solo whose unspeakable title makes one tremble.